IoT (Internet of Things)

Quando si parla di Internet of Things (acronimo IoT), o di Internet delle Cose, o ancora di Internet degli Oggetti, non si sta parlando soltanto di computer, smartphone e tablet, ma di oggetti intelligenti (i cosiddetti smart object), ovvero tutti quegli oggetti che si trovano  all’interno delle nostre case, sul posto di lavoro, nelle città e nelle più svariate esperienze di vita quotidiane. Il concetto di Internet of Things nasce, infatti, proprio dall’idea di portare nel mondo digitale gli oggetti che fanno parte della nostra esperienza quotidiana.

I primi esperimenti in questa direzione, come, ad esempio il collegamento di alcune macchine a delle reti di server ARPANET (acronimo italiano di Rete dell’Agenzia per i progetti di ricerca avanzati), risalgono agli anni ’80. Più tardi, verso la metà degli anni ’90 alcune multinazionali hanno proposto i primi software dedicati.  A partire dalla fine degli anni ’90 il concetto di IoT comincia a delinearsi più chiaramente attraverso importanti pubblicazioni scientifiche. L’espressione Internet of Things, infatti, è stata formulata per la prima volta nel 1999 dall’ingegnere Kevin Ashton in stretta relazione con i dispositivi RFId (acronimo di Radio Frequency Identification)

Oggi, se volessimo provare a dare una precisa definizione di IoT potremmo dire che si tratta di un percorso, nell’ambito dello sviluppo tecnologico, in base al quale ogni oggetto della nostra vita quotidiana assume una sua identità nel mondo digitale attraverso la rete internet. Per sintetizzare ulteriormente, l’IoT ruota intorno all’idea che gli “oggetti intelligenti”, tra loro interconnessi, sono potenzialmente in grado di raccogliere, scambiare ed elaborare i dati e le informazioni possedute. Tuttavia tale definizione non sembra descrivere a pieno il significato relativo ad un IoT che va oltre gli oggetti intelligenti. In questo senso si possono enumerare diversi esempi. Si pensi all’ambiente domestico dove dalla domotica cablata si è passati a soluzioni wireless sempre più accessibili a tutti, anche da remoto. O ancora, si pensi agli autoveicoli, connessi tramite sistemi GPS-GPRS, che oggi dalla fabbrica escono già dotati di connessione internet, wi-fi o bluetooth. Da non trascurare, inoltre, la realtà produttiva delle fabbriche, cioè ambienti dove l’IoT riveste un ruolo importante anche in termini di distribuzione dell’intelligenza di sistema. Si pensi, altresì, alle strade che percorriamo quotidianamente, anche queste, se dotate di semplici “oggetti intelligenti”, possono facilitare le condizioni di viaggio per gli utenti: ad esempio i lampioni il cui grado di luminosità vari in base alla visibilità oppure ai semafori sincronizzati che al passaggio di un mezzo di soccorso creano un’immediata onda verde.

Quindi tutti gli oggetti che fanno parte della nostra esperienza quotidiana (elettrodomestici, automobili, impianti produttivi, dispositivi elettronici) costituiscono, virtualmente, la base dell’Internet of Things e sono in grado, se connessi tra loro, di elaborare dati e scambiare informazioni con altri oggetti.
Pertanto per essere definiti “intelligenti” o meritare l’appellativo “smart” devono rispondere a due requisiti ben precisi: essere identificabili (dotati di un identificativo univoco nel mondo digitale) ed essere connessi (per poter trasmettere e ricevere informazioni).

Nell’ambito del progetto Cloud4City la convergenza tra tecnologie Cloud e IoT è fondamentale dal momento che il rapporto tra IoT, Cloud e Smart City è sempre più stretto ed è destinato a diventare naturalmente inscindibile. Il mercato potenziale per soluzioni avanzate come quelle proposte dal progetto C4C, non esclude neanche i centri urbani minori, basti pensare che negli ultimi tre anni quasi il 50% dei comuni italiani ha avviato un progetto Smart City basato su tecnologie IoT. Da un’analisi più ampia si conferma quanto già detto sul piano del mercato IoT; infatti che l’Internet of Things svolga un ruolo centrale nello sviluppo digitale del nostro Paese lo conferma il fatto che la percentuale di crescita del mercato in Italia, secondo alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Internet of Things, si registra intorno al 24% rispetto all’ultimo anno ed i protagonisti di questa crescita sono state sia le applicazioni più consolidate che quelle che ricorrono ad altre tecnologie di comunicazione. La maturità raggiunta da questo mercato è testimoniata dai numerosi esempi di ambiti applicativi di IoT che connettono persone e “cose”.
L’autovettura che dialoga con l’infrastruttura stradale per prevenire incidenti, gli elettrodomestici di casa che ottimizzano l’impegno di potenza, gli impianti di produzione che scambiano dati e informazioni con i manufatti per la gestione del loro ciclo di vita, i dispositivi medicali localizzati all’interno di un presidio ospedaliero, una coppia di semplici sci che informano sullo stato della neve o la severità di una caduta; l’Internet of Things non conosce confini applicativi. Occorre anche precisare che il processo che porta gli oggetti a diventare “oggetti intelligenti”, connettendosi alla rete e scambiando informazioni su di sé e l’ambiente circostante, non avviene mai in tutti gli ambiti con la stessa velocità. I fattori che ne determinano la velocità sono l’esistenza di soluzioni tecnologiche consolidate, gli equilibri competitivi all’interno di un determinato mercato ed il bilancio tra il valore dell’informazione ed il costo di creazione della rete di oggetti intelligenti.

Si prenda ad esempio il caso dell’Internet of Things al servizio della Smart City. In questo senso l’Osservatorio IoT ha sviluppato alcuni modelli di stima dei costi e dei benefici applicandoli alla Città di Milano.
Ciò che è emerso è che tutti i progetti analizzati si riescono a ripagare proprio grazie all’entità dei benefici:

  • in 1-2 anni nel caso della Gestione dei parcheggi;
  • in 2-5 anni per la Raccolta rifiuti;
  • in 3-5 anni per l’Illuminazione intelligente;
  • in 6-9 anni per le soluzioni di Smart Building in edifici pubblici.

Prendiamo ad esempio un altro ambito di applicazione di IoT molto diffuso e particolarmente vantaggioso in termini economici: lo Smart Metering, vale a dire l’ambito applicativo dell’Internet of Things che riguarda i contatori connessi (detti appunto smart meter), per la misura dei consumi di acqua, gas, elettricità e calore, alla loro corretta fatturazione e telegestione. Ancora una volta è l’Osservatorio dell’Internet of Things a fornirci qualche dato. Il principale segmento del mercato IoT (28% del totale) proviene proprio dall’ambito Smart Metering gas ed elettrico. Per avere un’idea, dal 2012 al 2018, secondo le delibere emanate dall’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente), le utility hanno avuto l’obbligo di mettere a servizio almeno 11 milioni di contatori gas telegestiti da remoto e 7 milioni di contatori elettrici di seconda generazione (altri 25 milioni sono previsti entro il 2031).

In conclusione, facendo una breve analisi su quanto ha inciso l’IoT in Italia nell’anno 2021, l’Osservatorio fornisce un quadro particolarmente stimolante; il mercato ha raggiunto i 7,3 miliardi di euro avendo una crescita del +22%. L’anno successivo, il 2022, dopo gli effetti di una pandemia mondiale, è stato l’anno in cui l’offerta di soluzioni si è notevolmente evoluta con nuovi servizi di valore, realizzati grazie alle grandi quantità di dati raccolti da oggetti connessi. Il business dei servizi ha raggiunto quota 3 miliardi di euro, circa il 40% del mercato IoT complessivo, vale a dire il +25% rispetto all’anno 2020. Per quanto riguarda lo scenario futuro, le prospettive nel mondo dell’Internet of Things si delineano già positivamente secondo gli studiosi. Infatti gli investimenti previsti nei vari ambiti applicativi, come quelli già discussi precedentemente, sono decisamente orientati ad accogliere, grazie al PNRR, le grandi opportunità offerte in questo settore dove, come si è visto, l’IoT è destinato a rivestire un ruolo sempre più importante.

A cura di

Laura Alfano

Contrattista ISPC CNR

Laura Alfano

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